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domenica 17 novembre 2013

The Private Files of J. Edgar Hoover

 


"I file privati che sono sfuggiti al macero sono diventati un film incredibile. Da Kennedy a Martin Luther King. Da tassisti a membri del Congresso. Da casalinghe a hostess. Aveva qualcosa di segreto su 58 milioni di persone. Era tutto nei suoi file. Ora si può vedere come gli ha usati."

Frase di lancio originale del film

Lionel McCoy/Josè Ferrer :- [sarcastico] "Mi saluti il Mago di Oz!"

"... [W] e sono afflitti da una polizia segreta di una specie tale che non credo una repubblica democratica dovrebbe sostenere. In teoria, l'FBI è necessaria. Per le indagini sulla criminalità. Ma in tutti gli anni dai quali l'FBI è in vigore, i grandi criminali - la mafia, Cosa Nostra - hanno operato liberamente e felicemente ... l'FBI non ha dimostrato molto interesse per la grande criminalità. Il suo tempo è stata dedicato a spiare gli americani le cui convinzioni politiche non piacevano a J. Edgar Hoover, un uomo di quegli anni che alla fine odiava i comunisti, i neri e le donne in più o meno questo ordine. "Così Gore Vidal (in "Elements on fact and Fiction" ); in tal modo, anche, Larry Cohen ci dice questo, il cui film biografico sul "Primo poliziotto d'America"molto prima di Clint Eastwood offre ancora oggi un calcio sui denti, (ed in spregio ad ogni "politically correctness" del moderatissimo e citato "Edgar"), ai burocrati di stato e con un tale disinibito entusiasmo, che la cotanta euforia si stagliava sul pubblico del 1977 quando il film boicottato da più parti, uscì, come un'irato oltraggio.
C'è molto da dire, anche troppo per un solo film di due ore. E bisogna pensare che in precedenza sulla figura di un personaggio praticamente intoccabile come Hoover era stato realizzata soltanto un'agiografia sulla storia dell'FBI portata allo schermo da Mervyn LeRoy, nel 1959, dirigendo un film come detto schifosamente glorificante intitolato "The Story of FBI", del quale c'è da godere nell'opera di Cohen per come viene apertamente preso per il culo. Qui non c'èda pontificare per due e passa ore sulla legnosità e la sottigliezza socio -sessuologica di Hoover, propria del kolossal diEastwood. Nel film di Cohen il ricorso principale è al giornalismo incisivo, grosso modo nella tradizione di Fuller, diWilder, nelle modalità del suo famosissimo "L'Asso nella manica"(Ace in the Hole) (1951). Magari un pò troppo manicheistico e antiquatamente pretenzioso di essere tutto dalla parte del bene, in un epoca pienamente scandalistica come già gli anni settanta, ma ormai che, il Freedom of Information Act ci fornisce comodamente da internet l'accesso a tutti i tipi di inquietanti prove sulle tecniche del Bureau (vedere ad esempio le rivelazioni poco tempo dopo l'uscita del film circa le connessioni con la morte di Jean Seberg), e con i critici dei cosìddetti "G-Men"  (che andavano daJessica Mitford Rex Stout) a fornire un sacco di desolante aneddotica, ci si può rendere bene conto di quanto ci fosse e ci sia sicuramente un sacco di letame che deve ancora essere legittimamente rastrellato, cosa che il repubblicanoEastwood si è ben guardato dall'esporre, e che invece"The Private Files of J. Edgar Hoover" no, e "a caldo" dai fatti rappresentati e dalla stessa morte di HooverCohen realizza difatti un tipico film del clima post-Watergate, giusto e rettamente dalla parte della verità storica e politica, e si vede che ha goduto nel farlo.
Qua e là, pure un po' troppo. La struttura del film è incentrata sugli eventi che circondano la morte di Hoover nel 1972.Un ex-agente Dwight Webb(Rip Torn, sempre bravissimo), ci racconta non solo la propria storia, ma anche quella delBureau e del suo puritano capo, per tutto il tempo insistendo sull'esistenza di "file privati" i cui contenuti sono dinamite - tanto che, anche come egli snoda il racconto, gli aiutanti di Nixon si sono prodigati per la loro triturazione il più velocemente possibile. Nonostante questo, il capo assistente di Hoover, Clyde Tolson(Dan Dailey) gestisce i segreti più importanti e probabilmente dirompenti, alla chiusura del film, lasciando il Quartier Generale del Bureau con una borsa visibilmente gonfia. Pochi mesi dopo, Torn ci informa più del montaggio di una distesa di titoli di giornale, che esplose ilWatergate e venne giù il Governo, come se J. Edgar Hoover avesse raggiunto il suo scopo persino uscendo dalla tomba" e fatto strame di "Tricky Dick" & Co., in prima persona .
Ora, il personaggio di Torn è naturalmente una finzione, un composto di veri ex-agenti danneggiati da Hoover e anche dei sentimenti privati ​​dello stesso Larry Cohen, -il quale non è certo un reazionario oramai purtroppo rimbambito allaEastwood-,  su J. Edgar Hoover.
Questo, è un dispositivo legittimo per pretendere di fare un film su una figura così fosca  e compromessa, come Hoover, e il film giustamente insiste sul dirci le sgradevoli verità fino a quel momento storico troppo a lungo represse, e anche dei molti sospetti, ottenendo un vero inferno che poi è la verità già storica e il suo giudizio, proprio grazie alla creazione di questo agente fittizio. Il film di Mervyn LeRoy ci aveva dato tanto per fare lluminanti paragoni, un eroe fattosi da sè, completato da scene di vita domestica estremamente noiose e irrilevanti, quasi parodiche, effetto che persino l'"Edgar"di Eastwood sfiora, parodia che non sembra proprio essere stata negli intenti di Cohen, come difatti non avrebbe mai dovuto essere. Il regista di New York non intende qui raccontarci di una storia d'amore frocesco spezzato o meno, ma casomai mostrare come l'FBI interferisca e abbia fino a quel momento interferito in misura sorprendente anche con la vita privata innocua del proprio personale, piccolo o grande che fosse, nel contesto della storia di Hoover e del suo ufficio di presidenza lungo quasi cinquant'anni, non perdendo tempo a raccontarci il nulla come purtroppo ha fatto Eastwood,quale non avrebbe potuto essere detto che in una frase da una voce fuori campo, o semplicemente lasciato supporre. Nel film di Cohen vediamo invece anche la breve carriera del padre di Torn (William Wellman Jr., fratello di Tom Laughlin, e guardandolo molto simile al padre), presumibilmente anch'esso fittizio, ma molto utile per ciò che vuole mostrarci, ovvero quanto ci sia ancora da mostrare sui quasi cinquant'anni di trame e vicende nascoste e segrete, dalla fondazione dell'FBI alla repressione di anarchici bombaroli e alla caccia dei più famosi banditi rapinatori di banche e"nemici pubblici n°1", negli anni della Grande Depressione e del Proibizionismo. Tutto questo richiederebbe davvero molto tempo, ma in un film che cerca di riempire 48 anni in 110 minuti (mezz'ora meno del "bio-pic" di Clint), ogni minuto conta, e perdipiù otteniamo tutte queste informazioni, sempre rimanendo aderenti ai fatti noti.
"Un'esistenza al ritmo di quella di J. Edgar  Hoover"
Si tratta, in effetti, cosa rara, di un film che pur durando meno, risulta meno corto di un Kolossal dalle due ore e mezza, quale sempre "Edgar". Anche l'opera propagandistica di LeRoy durava 149 minuti, e senza problemi da porre mai a nessuno. Così com'è, il film di Cohen spara invece una bordata al minuto. Il regista di New York è infatti molto più interessato alla politica dell' FBI che alle convenzioni imperniate sulle sparatorie e le investigazioni. Abbiamo visto abbastanza film dove automobili degli anni venti e trenta corrono sbandando nelle curve, e cappelli borsalino con le tese come rasoi a decorare i capelli impomatati di signori con "machine gun" custodite nelle custodie di violini. Nel film diCohen ben poco metraggio è dedicato al  rat-a-tat-tat dei mitragliatori, non siamo in una puttanata alla "Gangster Squad", m anzi la stessa vita privata di questi "file privati" è un po' frustrante. Ci sono sì anche alcune omissioni sorprendenti: sono coinvolti i G -Men nella definizione dei casi famosissimi dei coniugi Rosenberg o di Alger Hiss?James Earl Ray ha agito su ordine di presidenza? Perché Hoover dell'FBI nascondeva i contatti di Lee Harvey Oswald? Ovviamente, Cohen non ha ottenuto le risposte a questi misteri e agli altri, e ha semplicemente lasciato fuori tutti i riferimenti indiretti (o non tutti, ma sempre in fugace riferimento), al fine di evitare delusioni. Ma le delusioni sono ciò che si possono ottenere in ogni caso, soprattutto quando il tempo è dedicato invece che all'Agente Torn all'incasinata presunta o meno, inesistente o no, vita sessuale di Hoover, come in "Edgar", spesso perdendo tempo a a farcelo mostrare intento a indossare le sue vestaglie colorate o cravatte fin troppo luminose. Sembra indiscutibile che Hoover era"diverso", ma forse era meglio se Eastwood non si fermasse pudicamente a tali banalità, o soprassedesse del tutto.Cohen si attiene invece solo alle meschinità dell'uomo Hoover, come dalla consapevolezza di un qualcuno che è rimasto sconvolto, dalla rivelazione che tutti i libri più venduti sulla figura di Hoover furono stati fatti"attenuare" da persone molto ben pagate per conto di Hoover stesso, e dopo la sua morte dall'FBI. O del fatto che egli non pagava mai nei ristoranti?Questo può essere riprovevole, ma sicuramente non è raro.
Anche se l'epilogo di questa storia è filmato basandosi sull'immaginazione, è una supposizione abbastanza enorme. Cohenregala a sè stesso anche un bel un po' di allusioni visive che insinuano, e mai indirettamente, ad un coinvolgimento diHoover nell'assassinio di Robert Kennedy. Il che ci riporta alla questione di quanto può essere consentito in un film di questo genere, quando il regista è coraggioso e senza licenze retoriche, come è stato appunto Cohen. Forse è semplicemente una questione del nostro che non si interessa come invece ha sempre fatto Eastwood ai dettagli così definibili "minori", della vita privata di Hoover: è Carrie DeWitt (addirittura Ronee Blakley), la ragazza le cui avanceil giovane Hoover rifiuta pudicamente, una persona reale, un composto di altri personaggi reali, Cohen compie delle congetture o inventa di sana pianta? E che dire di Dave Hindley (impersonato dal grande John Marley), il giornalista che sospetta Hoover e Tolson come due amanti omosessuali? Non si sa, e non si può essere sicuri che Cohen non stia semplicemente caricando in questo modo le sue argomentazioni, ma sicuramente non ci perde molto tempo. Certo, egli ci inganna volutamente in materia di Melvin Purvis, l'uccisore di Dillinger e da sempre avversario di Hoover in seno all'FBI in termini di capacità, popolarità e prestigio. Il quale si uccise con la sua propria pistola (come già potevamo leggere dalle finali didascalie dello splendido film di John Milius del 1973), ma non fino a decenni dopo, quando egli stava per morire, e Cohen ci mostra finalmente il suo probabile tiro malavagio, ovvero che la partenza di Purvisdall'Ufficio di presidenza e il suo suicidio in scene consecutive, con l'attore in questione (Michael Sacks) il cui personaggio cresce di importanza, in modo tale da suggerirci che Hoover non fosse stato assolutamente inconsapevole e forse incolpevole, con qualche sua azione o minaccia per le tante cose che Melvin sapeva sul conto di Hoover e non dovevano assolutamente essere rivelate, del gesto che Purvis compirà, di lì a pochi mesi. 
Tutto questo, da sempre una tanto dibattuta verità, sarebbe una vergogna, eppure il film riesce a renderla persino divertente, grazie alla sua impagabile e temeraria disposizione a lanciare fango in ogni direzione. Robert Kennedy (Michael Parks) viene mostrato come quasi l'unico uomo che osi alzarsi in piedi e non piegarsi di fronte a Hoover, ed che è anche (come il fratello) aperto al ricatto; I democratici sono raffigurati venali tali e quali come i repubblicani, e FDRnon è sicuramente mai stato presentatatoci tanto sgradevole in un film come lo è stato qui,impersonato da Howard Da Silva.
Anche se lo stesso Hoover di Cohen è un mostro, è un mostro di una certa statura malefica e un bel po' di pathos rispetto a tutti coloro che lo circondano, in questo un pò alla maniera del grandioso "Nixon" di Anthony Hopkins eOliver Stone, ma come in quel capolavoro, senza alcuna traccia di giustificazione e/o fascinazione per il personaggio, anzi, mentre nel passare degli anni e della storia americana, alcuni dei suoi originali "datori di lavoro" sono e ci vengono fatti apparire, come del tutto intercambiambili.
I titoli di testa rivelano che alcuni momenti del film- un bel po', o almeno con l'aria di esserlo stati- sono stati girati presso la sede del Bureau a Washington, ma senza permessi o preventive "censure", dato questo,che all'evidenza della probabilità di un bilancio alquanto negativo sulla figura e l'azione di Hoover, il fatto di essere stato girato nei veri luoghi è molto suggestivo, sia per la sua pura ambizione cinematografica di aderenza ai fatti, che per la sua sfacciataggine, incutendo un innegabile rispetto all'intera operazione. Alcuni degli attori invero sono un poco sprecati (specie un grandissimo caratterista al suo ultimo film come Jack Cassidy, nei panni di Damon Runyon, e in particolare Jane Havoc come la castrante madre di Hoover - inserita in un ruolo però da Cohen molto ben scritto, e che ben ricorda i ricchi motivi di un'iconografia tipicamente freudiana, la quale avrebbe quindi meritato maggiore spazio sullo schermo, purtroppo stante la ridotta durata del film);  la maggior parte degli interpreti e dei ruoli sono comunque molto buoni e ben riusciti, mentre i protagonisti James Wainwright (Hoover da giovane) e Broderick Crawford (Hoover dai circa 40 anni alla morte) sono molto brillanti. Crawford, in particolare, non è mai stato migliore e non ha niente di meno nella sua impersonificazione di quella comunque eccellente di Leonardo Di Caprio nel film di Eastwood. 
Pur se Broderick non ha di certo necessitato di tutto il pesante trucco e invecchiamento dei quali ha avuto bisogno il secondo per poterlo impersonificare credibilmente. Ed ecco qui come dicevo, da parte di Broderick offertoci un ritratto di gran lunga più agghiacciante e che addirittura oltrepassa, quello molto consimile del suo famosissimo Willie Stark in"Tutti gli uomini del re" (All The King's Men(1949) di Robert Rossen, o seppur in un ruolo alora molto diverso, ne "Il Bidone" (1955) di Federico Fellini come l'altrettanto celebre personaggio di Augusto; Crawford qui incarna - e riesce a malincuore a farci rispettare - un uomo corrotto da un qualcosa di ben più insidioso del mero potere.L' Hoover di Crawford è terrificante in virtù della sua assoluta convinzione in ogni momento che egli è nel giusto, e quindi che ciò che è giusto deve per forza coincidere sempre con quello che sono i suoi interessi personali. Per certi aspetti può ricordare ad un italiano un personaggio un tempo pervicacemente inaffondabile e potentissimo, da poco scomparso.

Questo fu l'ultimo film di Jack Cassidy, e venne distribuito un anno dopo la sua morte, all'età di 49 anni.


Larry Cohen voleva girare in varie location autentiche, ma gli è stato più volte rifiutato il permesso. Tuttavia, quando la allora First Lady Betty Ford - una ex ballerina - ha scoperto che Dan Dailey era a Washington per fare un film, lei lo invitò assieme a Broderick Crawford per un pranzo alla Casa Bianca, come aveva sempre voluto per film nei quali lavorasse DaileyLarry Cohen allora ha iniziato a chiamare i luoghi reali come la struttura di formazione dell'FBI diQuantico, in Virginia, dicendo che voleva filmare lì, ma non poteva farlo per il giorno dopo, poichè il cast era a pranzo alla Casa Bianca, probabilmente supponendo che il film aveva l'appoggio ufficiale, ogni luogo si rese presto disponibile.

Il film è stato girato in luoghi autentici come l' ufficio e la casa di J. Edgar Hoover, il quartier generale dell'FBI aWashington, DC, e la struttura di formazione in Virginia, e il Mayflower Hotel (dove Hoover di giorno pranzava).

Diverse persone che erano conoscenti nella vita reale di J. Edgar Hoover sono presenti nel film, tra cui il barbiere che gli ha tagliato regolarmente i capelli e il suo cameriere regolare al Mayflower Hotel. 

Il film ha avuto una proiezione formale al Kennedy Center, ma i membri di entrambe i partiti tra il pubblico in gran parte politico sono stati irritati dal film per la sua poco lusinghiera raffigurazione non solo dei repubblicani come Richard Nixon, ma anche democratici, come i Kennedy e Franklin D. Roosevelt .

Larry Cohen volle Lloyd Nolan nel cast a causa del lavoro di Nolan in precedenti film circa l'FBI come "La Pattuglia dei senza paura", "La Casa della 92a strada", "La Strada senza nome", notando che egli non poteva immaginare di fare un film sull'FBI senza di lui.

Napoleone Wilson

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